mercoledì 20 settembre 2017

Le fucine di Karak Vlag, parte 2: l'Architrave

Recuperate le forze dall'epico scontro avuto con i Minotauri, i membri della compagnia del Capitone Mannaro trovarono ristoro sotto un antico architrave in pietra, edificato secoli addietro dagli abitanti nanici della rocca ormai abbandonata. Il silenzio era calato sul gruppo, il silenzio delle ferite indotte dalla prima delle plurime e infide battaglie che li attendevano nelle spettrali aule di Karak Vlag.
Il suono metallico delle fucine di nuovo attive risuonava spettrale in lontananza, nelle profondità dell'antica rocca, mentre Catullus, riparato nella sua pesante pelliccia di castoro bicefalo, imponeva le mani curatissime verso i compagni mormorando le sue preghiere a Sigmar. La luce verde del suo anello di Giada illuminava la sezione di corridoio nella quale il gruppo si era fermato per far rimarginare, con il magico ausilio del prete, le proprie ferite. "Lasciami aperta questa pellicina sul dannato pollice, PRETE!" bofonchiò Rollo prevedibilmente: il nano non perdeva occasione di sottolineare come il principale movente della sua presenza col gruppo fosse quello di cercare il dolore fisico e l'espiazione della sua colpa attraverso la morte il più presto possibile. Una morte gloriosa contro una coppia di Minotauri sarebbe stata una degna fine, ma il fato aveva voluto che i tre sopravvivessero a quell'impari scontro. "Ho quasi finito Rollo" rispose asciutto Catullus, mentre Petus alle sue spalle non staccava gli occhi da una oscura crepa presente sull'architrave maestro di quella sezione di corridoio...


Fu il mago ad avvertire i suoi due compagni dell'improvviso pericolo: "Dalla crepa!" riuscì ad urlare prima di scansarsi dalla sua posizione, scorgendo le forme oscure fuoriuscire improvvisamente dalla cavità ascosa nella roccia. Rollo di scatto si girò verso l'alto mettendo mano all'ascia mentre una dozzina di giganteschi scorpioni, mutati nella forma e nelle dimensioni da chissà quale arcano e oscuro potere, si riversavano in picchiata sul nano. Catullus non ebbe il tempo di mettere mano al suo gigantesco martello che le bestie, animate da una fame furiosa, avevano già ricoperto il nano in un abbraccio mortale, strisciando intorno alle sue membra e facendosi strada nei suoi mutandoni di pelle irta. Rollo, urlando, si liberò di buona parte degli scorpioni con un gesto rabbioso del torso, finendoli con decisi colpi di ascia mentre stridendo cadevano a terra, le zampe rivolte verso l'alte e illuminate dalla spettrale luce della lanterna: non poté fare a meno, tuttavia, di subire due punture ben assestate dagli immondi insetti, digrignando i denti in un sentimento misto di dolore e piacere. "Scorpioni" sentenziò didascalicamente Petus osservando le carcasse dei grossi insetti sul suolo, e annusò l'aria del dungeon pronto a proseguire nonostante l'imprevisto e l'ennesima trappola tesa dall'infida rocca nanica. Mentre si concentrava per incanalare a dovere i venti di magia presenti nelle aule desolate sentì qualcosa turbare l'energia magica del luogo: qualcosa o qualcuno stava interferendo con il fluire dell'energia magica, rendendogli impossibile l'usufruirne: qualcuno o qualcosa cercava come lui di direzionare il vento magico a proprio favore: ma chi? La risposta al mago arrivò subitanea mentre il gruppo cadeva vittima dell'ennesima imboscata.


Dalle ombre alle loro spalle sbucarono infatti tre grossi pelleverdi armati di lance, archi e coltelli tribali: i grossi orchi avevano la pelle dipinta di tatuaggi tribali dai colori accesi, con i grossi nasoni porcini trapassati da monili ossei. Catullus riconobbe quei tre figuri come orchi selvaggi, un genere di orco abituato a vivere nelle foreste e nelle zone più selvagge del Vecchio Mondo: provò ad immaginare, mentre si preparava all'ennesimo combattimento, come erano giunti fin dentro la rocca, se erano parte del gruppo che aveva occupato le antiche fucine, ma un pensierò lo turbò e scompose l'espressione solitamente algida delle sue sopracciglia curate: gli orchi selvaggi erano soliti seguire le istruzioi e i comandi di un capo solitamente, data la struttura clanica e gerarchica della loro società: così almeno aveva studiato nei bestiari durante la sua dotta preparazione: un capo militare degli orchi selvaggi sarebbe stato al loro fianco, anche nel caso di un'imboscata, ma i tre sembravano da soli: dov'era allora colui che li comandava? Realizzò immediatamente che doveva trattarsi di uno sciamano, poiché se non avevano un capo militare quegli orchi allora dovevano rispondere ai comandi di un non meno letale capo religioso e spirituale: fu così che gettò lo sguardo nell'oscura stanza oltre l'architrave, che il gruppo ancora non era stato in grado di esplorare, e fu là che scrutò nell'angolo un altro orco selvaggio, più pesantemente tatuato, più grosso e muscoloso, con una lunga barba rossiccia e appoggiato ad una staffa lignea piena di monili, ossa e piume: l'orco selvaggio sciamano impugnava nella mano sinistra una gigantesca spada grigio scuro, forgiata con qualche lega speciale e probabilmente di origine magica, poiché essa baluginava di una soffusa irradiazione rossastra. "Sciamano!" urlò Catullus indicando la stanza oltre il gruppo pronto a combattere gli orchi in corpo a corpo, e mentre proferiva queste parole una scarica di energia bluastra squarciò l'aria proveniente dalle mani tese dello sciamano e si diresse proprio verso il prete colpendolo al torso, facendolo trasalire, togliendogli il fiato e spezzando il suo avvertimento in gola. "Temo che avremo bisogno presto di un quarto compagno se vogliamo sul serio sopravvivere in questi luoghi" bofonchiò Petus, incapace di incanalare l'energia magica trovandosi fianco a fianco con uno degli orchi. "Stiamo benissimo così!" disse di rimando Rollo e calò la sua ascia sull'orco a lui antistante dando contemporaneamente un morso al suo sfilatino di durissimo pane pietra. E la pugna ebbe inizio.

venerdì 15 settembre 2017

Le fucine di Karak Vlag, parte 1: I Guardiani

Di ritorno dalla loro ricerca della Fontana del pisello rivelatore, capace di rivelare senza esitazione il legittimo principe del piccolo territorio periferico dello Stirland presso il quale la Compagnia del Capitone Mannaro si trovava a viaggiare, Catullus, Petus e Rollo si misero in viaggio per fare ritorno al più vicino villaggio. Stanchi dell'impresa appena affrontata avevano deciso di comune accordo che intraprendere una lunga traversata attraverso i territori dell'Impero per raggiungere una grande città non era d'uopo, e a motivo di ciò si erano incamminati verso un piccolo insediamento poco distante, disposti a rinunciare agli agi dei grandi borghi per poter accorciare il loro viaggio. Nel piccolo borgo non furono in grado di trovare niente di utile per la loro successiva meta: Rollo passò la giornata saggiando le diverse birre a disposizione della locale taverna, mentre Catullus decise di munirsi di un rude pellicciotto barbarico per affrontare le intemperie del viaggio.

Erano venuti a conoscenza che l'antica rocca nanica di Karak Vlag era stata occupata da nuovi infidi abitanti che ne avevano riacceso le fucine, pronti a forgiare nuovi e potenti armi da utilizzare contro gli insediamenti più vicini. Era stato il sovrano nano di Zhufbar a richiedere l'aiuto dei più intrepidi avventurieri per recarsi a spegnere le antiche fugine e a sconfiggere gli usurpatori di quell'antico luogo. Solo un nano avrebbe potuto spegnere definitivamente le fiamme di Karak Vlag, utilizzando gli antichi artefatti di quel luogo e debellando un potenziale immenso pericolo per i territori circostanti. Convinti di poter riuscire in questa ostica impresa, i membri della Compagnia del Capitone Mannaro si erano diretti senza indugio alcuno verso la rocca, di cui lo Sventratroll ben conosceva il luogo fra i monti.

Fu Rollo a condurre il gruppo fra i sentieri impervi di montagne: era a conoscenza del luogo di quella rocca abbandonata, una delle tante roccaforti naniche che la sua ggggente aveva visto cadere nei secoli passati per mano dei pelleverde: chissà quali nefandi abitanti avevano preso possesso di quelle antiche mura adesso, facendone la propria EMPIA tana. "E' tutta colpa mia: di sicuro ciò ha a che fare con i miei peccati, è per questo che io oggi morirò in queste antiche aule dei miei antenati" proferì lo Sventratroll mentre indicava col nido nodoso l'entrata di pietra nascosta fra i cespugli brulli delle pendici montuose. Catullus e Petus annuirono alzando gli occhi al cielo, avvezzi alle farneticazioni suicide del compagno, mentre il nano accendeva la lanterna facendo strada ai compagni.

Discesero per lunghi minuti fra scale ripide e scolpite con sapienza nella pietra: il silenzio assoluto era interrotto in remota lontananza da un suono metallico cadenzato e sinistro: le fucine di quella antica fortezza erano davvero nuovamente attive, e chissà quali malvagi nuovi abitanti le stavano usando per i propri sinistri scopi. Catullus realizzò la grande minaccia contro la quale andavano incontro e rabbrividì femmineamente per tutto il corpo prima di riprendere la calma invocando Sigmar e stringendo forte con le mani curatissime il suo grosso martello.


"Shhh" fece Petus richiamando il silenzio del gruppo mentre attraversavano il lungo corridoio di pietra che conduceva nel cuore dell'antica rocca. Il mago aveva udito uno squittìo sommesso, eppure, osservando il suolo innanzi a sé non poteva scorgere niente, aspettandosi invece di intravedere la sagoma pelosa di qualche topone randagio. Con fare interrogativo i suoi due compagni lo guardarono mentre il Mago cercava con lo sguardo l'origine di quel suono. Non fece in tempo a proferire "Attenti!", che una frotta di pipistrelli si staccò d'improvviso dal soffitto in ombra del passaggio piombando sul gruppo con strepito e sgomento. Mentre i tre della compagnia del Capitone Mannaro menavano fendenti fra gli animali alati dei passi pesantissimi fecero tremare il corridoio da entrambe le sue estremità. "Minotauri!" gridò Rollo leccandosi la barba, pronto ad una pugna degna della sua furia.


Solo con grande sforzo i tre superarono l'immane sfida di quel corridoio: da entrambi i lati due Minotauri guardiani si erano gettati su di loro. Evidentemente uno dei due li aveva seguiti sin dai primi momenti in cui si erano incamminati per le aule dell'antica fortezza nanica tendendo loro una trappola mortale. I tre compagni, stremati dalla lotta, si fermarono presso uno degli architravi di pietra, mentre il prete imponeva su di loro il potere curativo del suo anello di giada: Rollo cercò di scansare il compagno "Lasciami saggiare il sapore delle mie ferite, Prete!" provò ad obiettare, ma Petus alle sue spalle aggiunse "Abbiamo ancora bisogno della tua furia nano, stai buono poiché oggi io non permetterò che tu muoia..." concluse con un sorriso. "Vaffanculoo!" gli rispose gridando Rollo agitando la sua cresta moicana e indicando il calloso dito medio al compagno mentre una soffusa luce verde si sprigionava dall'anello di Catullus. Erano ancora vivi e ripresero a seguire il suono lontano della fucina di nuovo attiva.

Gli Allevatori di Rattogri

Per ripulire la propria reputazione da una impressionante serie di fallimenti e fughe disperate, i membri della compagnia del Capitone Manna...